Archivio degli articoli con tag: storia delle dottrine politiche

A partire dai primi anni ’60 del secolo scorso, le questioni ambientali hanno assunto una crescente rilevanza nel dibattito teorico-politico, determinando un’innovativa integrazione con alcune delle principali dottrine e filosofie politiche esistenti. Eco-socialismo, eco-marxismo, eco-pacifismo, eco-femminismo, ecologismo libertario, liberalismo verde, cattolicesimo dell’ecologia integrale sono solo alcune delle articolazioni assunte da questo nuovo pensiero politico ecologista nel corso dei decenni successivi, a dimostrazione dell’importanza ricoperta dai temi ambientali nelle varie culture politiche.

La call for papers per il n. 19 (1/2023) mira a raccogliere due tipi di contributi differenti: da una parte, s’intende sollecitare l’individuazione di percorsi genealogici capaci di cogliere il momento di ridefinizione concettuale del rapporto uomo-ambiente, dalla Rivoluzione industriale in poi, e le sue ricadute sulla teoria politica; dall’altra, s’intende sollecitare l’invio di contributi tesi a tracciare una storia del pensiero politico ecologista, così come si è articolato a partire dagli anni ’60 del Novecento fino ai giorni nostri.

Per sottoporre una proposta occorre inviare un’email a cfp@rivistapolitics.eu con allegato un file contenente: titolo; nome del/lla proponente; descrizione (massimo 250 parole); bibliografia essenziale (massimo 5 riferimenti); breve biografia. Tutte le proposte saranno valutate dal comitato scientifico e solo successivamente sarà richiesto l’invio dell’articolo completo.

Per ulteriori informazioni, cliccare qui.

Su Coordinamento Adriatico, n. 3, luglio-settembre 2021, una recensione di Petra Di Laghi al volume Translating Worlds. Migration, Memory, and Culture curato da Susannah Radstone e Rita Wilson, con un focus particolare sul mio capitolo “Foiba. Geneology of an Untranslable Word”.

Su Il Foglio del 10/3/2020, a pag. 3 c’è una recensione del mio libro Gratitudine politica I: dall’età classica al Medioevo, Mimesis, Milano, 2019, a firma di Giuseppe Perconte Licatese.

Schermata 2020-03-10 alle 11.15.00

Segue il testo dell’articolo.

Nel Critone, l’argomento che convince Socrate a non sottrarsi alla condanna è portato dalle Leggi personificate, che ricordano a lui il debito che ha verso di loro per essere stato generato ed educato come cittadino ateniese. Nell’ideologia repubblicana di Cicerone la patria diventa la “genitrice più antica” che dispensa i benefici maggiori e a cui sono orientati i più alti doveri dei cittadini/figli. All’uomo medievale sarà insegnato a essere grato a Dio e anche al proprio superiore terreno, sia spirituale sia temporale, cui è dovuta obbedienza nel quadro di un ordine politico naturale e provvidenziale.

Questo è solo uno dei percorsi possibili delineati a partire dalla feconda intuizione che la gratitudine ha profondamente a che fare, in Occidente, con l’obbligazione politica. Prima della sua privatizzazione moderna, che l’ha ridotta a (libero) sentimento, la gratitudine è stata costantemente teorizzata e incoraggiata come virtù legata alla giustizia e come dovere di restituzione. Diego Lazzarich ne ha percepito l’importanza per contrasto, osservando che – come sarà approfondito nella seconda parte di questa ricerca – l’emancipazione dei filosofi moderni (ad esempio in Locke) passa attraverso legami contrattuali volti anche a depotenziare i vincoli, sempre in fondo indeterminati e inestinguibili, della gratitudine, per liberare la politica dalla matrice del rapporto genitori-figli e dall’arbitrarietà del dono dei superiori agli inferiori.

Seguire le tracce della gratitudine nel pensiero politico occidentale porta a confrontarsi, in queste pagine, con linguaggi e concetti differenti, abbandonando le categorie nette (diritto/politica, privato/pubblico) dello Stato moderno. Presso i Greci, al centro del discorso c’è la charis, parola numinosa che denota il bene dato e ricevuto sia nei rapporti tra uomini e dèi sia in quelli tra uomini, dove la politica interna è teorizzata, con Aristotele, come parte della philìa (amicizia). La charis gioca inoltre un ruolo nella tessitura delle alleanze di politica estera – per non citare il discorso di Pericle riportato da Tucidide, in cui Atene presenta il proprio come un impero benefico. Quella romana è una società di patroni e clienti legati dalla gratia, e le istituzioni elaborano, come attesta Livio, il rendimento di grazie come atto pubblico (per i soldati in guerra, per l’operato dei magistrati). Il potere vuole gratitudine, ma è sempre accompagnato dall’ombra della sua mancanza, come nel caso emblematico del dittatore Furio Camillo, esiliato benché abbia difeso Roma dai nemici.

Gratitudo sarà, infine, lemma tardomedioevale; ma che operi capillarmente fin da subito lo dice anche solo il fatto che il feudo era detto beneficium. Il cristianesimo ha intanto esaltato e trasfigurato – in particolare con la riflessione di Agostino – l’idea della gratia, che ora discende dall’unico vero Dio, offre la salvezza dell’anima ed è mediata in primo luogo dal pontefice e dal clero. Il medioevo si rivela così essere anche il periodo in cui l’autorità temporale lotta per affermare la propria ingratitudine ovvero indipendenza da ogni concessione ecclesiastica, e anzi, come in Marsilio da Padova, per rovesciare i ruoli di beneficato e benefattore.

Questa originale ricerca storica riporta alla luce una concezione politica (e innanzitutto antropologica) antecedente al liberalismo moderno, per la quale, come l’autore dice richiamando l’idea di communitas di Roberto Esposito, nessuno è completamente padrone di se stesso e il legame politico unisce persone che non sono in diritto bensì in debito le une verso le altre.

Mercoledì 19, h. 11, seminario di Carlo Galli su “Sovranità: corsi e ricorsi”.
Il programma prevede: Saluti del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”, Pasquale Femia, e del Coordinatore del Dottorato di ricerca in Diritto Comparato e Processi di Integrazione, Domenico Amirante.

Mia introduzione e discussione con gli interventi programmati di Diego Giannone e Federica Liveriero.

Locandina_2020 1

Seminario di John P. Mc.Cormick (University of Chicago).

Locandina_Reading-Machiavelli-2

Su Storia del pensiero politico (1/2018), il mio saggio “Filmer, Locke e il problema della gratitudine politica”.

Il link: https://www.rivisteweb.it/issn/2279-9818

In occasione del seminario di aggiornamento “L’italianistica contemporanea: lingua, comunicazione e cultura italiana” organizzato all’Università di Rijeka, il 23/3/2018, ho avuto il piacere di tenere il seminario “Musica, politica e popolo”.

Il giorno 3 marzo 2018 inizia il corso di “Storia delle dottrine politiche” per il corso di laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

Per informazioni su orari e programma, clicca qui.

Il corso di “Storia delle dottrine politiche” per gli studenti del corso di laurea triennale di “Scienze politiche e relazioni internazionali” dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” inizierà l’1/3/2017.

Per informazioni, cliccare qui.

Dall’Introduzione del n. 3 (1/2015) di Politics. Rivista di Studi Politici:

Nonostante la molteplicità di avvenimenti, gli anni ’80 e ’90 appaiono, ancora oggi, privi di un’adeguata analisi storiografica in grado di analizzare in modo pieno e organico, e non semplicemente settoriale, i due decenni nella loro specificità. […]

Perché è mancata e manca un’interrogazione sistematica e organica su quel ventennio, un’interrogazione che porti con sé i caratteri dell’urgenza? […]

La sensazione è che questi interrogativi forti sugli anni ’80 e ’90 non ci siano perché, a differenza di quanto accaduto per gli anni ’60 e ’70, non c’è un soggetto interrogante ‘formato’, ‘aggregato’, consapevole della propria condizione storica e, quindi, capace di affermare autonomamente un proprio discorso; un soggetto in grado di prendere parola per interrogarsi con pienezza su quali siano i percorsi che lo hanno condotto alla maturità.

Se cerchiamo un soggetto che possa guardare agli anni ’80 e ’90 per comprendere il proprio percorso a partire dalle attuali coordinate spazio-temporali, allora l’identikit di questo soggetto si sovrappone anagraficamente a quello di una generazione ben precisa, vale a dire quella che lo scrittore Douglas Coupland ha così brillantemente definito con un semplice, enigmatico e sfuggente aggettivo: «X» […]

La Generazione X, insomma, sarebbe una generazione per certi versi ‘invisibile’, priva di un’identità sociale e culturale definita e costantemente esposta al rischio di subalternità rispetto alla precedente.

Se effettivamente l’interrogante a cui si allude fosse identificabile con questa generazione, è facilmente comprensibile quanto sarebbe difficile far emergere da questo humus un soggetto autonomo e situato spazio-temporalmente, quindi capace di gettare uno sguardo indietro nel tempo per ritrovare il ‘proprio’ passato per comprendere il ‘proprio’ presente. All’interno di quest’ipotesi, il deficit storiografico di cui soffrono gli anni ’80 e ’90 sarebbe il sintomo della marginalità di questo ventennio per il soggetto interrogante attualmente egemone. Ciò spiegherebbe, per esempio, perché gli anni ’80 e ’90 sono meno indagati rispetto agli anni ’60 e ’70: non perché meno importanti – com’è ovvio – ma semplicemente perché meno significativi e urgenti per i soggetti cresciuti e formatisi in quel ventennio, quindi per gli studiosi riconducibili alla generazione dei Baby boomers.

Continua a leggere l’introduzione gratuitamente…